L'ETA' GIOLITTIANA

E’ chiamato età giolittiana il periodo storico caratterizzato dal governo dell’esponente della sinistra liberale Giovanni Giolitti, dal 1901 alla vigilia dello scoppio della Grande guerra (1914).
E’ in questo periodo che si hanno il DECOLLO INDUSTRIALE dell’Italia, l’avvento del NAZIONALISMO con la ripresa delle spedizioni coloniali, le grandi MIGRAZIONI TRANSOCEANICHE e l’esplosione della QUESTIONE SOCIALE, alla cui soluzione è volta un’importante parte dell’azione politica di Giolitti.

Il 1900 era stato un anno di svolta nella politica italiana, con il fallimento della politica autoritaria di Crispi e Rudinì. Il punto di massima crisi si ebbe nell’estate, con l’assassinio del re Umberto I ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci, che intendeva con quel gesto vendicare le vittime dei moti milanesi del 1898.

LA POLITICA SOCIALE

A quel punto il nuovo sovrano Vittorio Emanuele III pensò di affidare il governo del paese ad un vecchio esponente della sinistra liberale, Giuseppe Zanardelli, che governò con il sostegno di Giovanni Giolitti, ministro degli interni. Giolitti assunse una posizione di neutralità di fronte allo scontro sociale in atto, tra operai e imprenditori. Non intervenne a reprimere le numerose manifestazioni e gli scioperi indetti dalle organizzazioni sindacali (le Camere del Lavoro) per rivendicare migliori salari e condizioni lavorative.
Questo atteggiamento era motivato dalla convinzione che i manifestanti non stessero preparando un’insurrezione, bensì stessero lottando per giuste rivendicazioni.
Diversamente furono considerati gli scioperi politici e quelli del pubblico impiego.
Alla morte di Zanardelli, nel 1903, Giolitti divenne capo del governo ed iniziò la lunga fase in cui cercò la mediazione politica con socialisti, nazionalisti e cattolici, che costituivano le nuove forze politiche emergenti nel paese. Da subito rivolse l’offerta di partecipare al governo ai socialisti riformisti di Filippo Turati, che però declinarono per evitare di alimentare l’opposizione interna dei socialisti massimalisti. Questa corrente aveva infatti grande seguito tra gli operai ed era guidata in questa fase da Alceste De Ambris ed Enrico Ferri, rappresentanti del sindacalismo rivoluzionario teorizzato da George Sorel.
Fu essa a guidare nel 1904 il primo grande sciopero generale, che paralizzò per alcuni giorni il paese. Giolitti evitò lo scontro e dopo il rientro della sollevazione chiese ed ottenne dal re lo scioglimento delle Camere.
Dopo le nuove elezioni, a cui fu autorizzata dalla Chiesa la partecipazione dei cattolici, i socialisti massimalisti risultarono sconfitti e Giolitti, dopo un breve intervallo in cui il governo fu affidato prima al suo seguace Alessandro Fortis e poi al suo più fiero avversario, Sidney Sonnino, tornò al governo per rimanervi fino alla fine del 1909.
In questa fase si ebbero i provvedimenti più importanti di politica sociale, dalla regolamentazione del lavoro festivo e notturno alla regolazione contrattuale del lavoro. Contemporaneamente Giolitti avviò la nazionalizzazione delle ferrovie e dei telefoni e stimolò la produzione industriale con provvedimenti protezionisti e antiliberisti, che confermavano la linea interventista dello stato in economia, tipica dei governi della sinistra. Fu in questi anni che venne fondata la prima Confederazione Generale italiana del Lavoro (CGIL - 1906).
Forte fu pertanto l’incremento della spesa pubblica operato da Giolitti, a favore dei lavori pubblici, dell’istruzione pubblica e dei servizi essenziali alla modernizzazione del paese (poste e ferrovie).

IL DECOLLO INDUSTRIALE

Durante il governo Giolitti in Italia si sviluppò notevolmente la produzione industriale, grazie alla stabilità di governo e alla favorevole congiuntura internazionale. Essa si sviluppò però prevalentemente nel centro-nord, mentre il sud rimaneva ancora un’area prevalentemente agricola. Sorsero allora i primi centri siderurgici (ILVA), le prime grandi industrie meccaniche (FIAT; LANCIA e ALFA ROMEO nel settore automobilistico, OLIVETTI che produceva macchine da scrivere). Anche il settore elettrico decollò in quegli anni con la costituzione della EDISON, così come quello chimico (concimi chimici, fertilizzanti, gomma).
A sostenere il decollo industriale, che iniziò a trasformare il volto del nostro paese, fu importante il contributo offerto dai principali istituti di credito, Banca Commerciale, Banco di Roma, Credito Italiano e Banca di Sconto, che guidarono le imprese assumendo al contempo funzioni di gestione e di controllo finanziario delle stesse, favorendo il fenomeno della concentrazione industriale (trust).

ALFABETIZZAZIONE E SVILUPPO DELLE FERROVIE

LA GRANDE MIGRAZIONE E LA QUESTIONE MERIDIONALE

Durante la fase del lungo ministero giolittiano, nel 1907, l’Italia attraversò un momento di crisi economica e finanziaria. Furono soprattutto le regioni del sud a pagarne il prezzo, anche se Giolitti in quegli anni favorì la nascita del polo siderurgico a Bagnoli di Napoli e avviò la costruzione in Puglia dell’Acquedotto pugliese. Tuttavia le dinamiche demografiche, che segnavano un forte incremento soprattutto nel meridione, spinsero molti italiani a cercare fortuna lasciando le terre d’origine. I più fortunati trovarono lavoro nelle industrie e nelle città, ma la maggior parte presero la via del mare ed affrontarono l’incognita della migrazione verso le Americhe o il Nord Europa. Erano soprattutto contadini meridionali che avevano subito le conseguenze della crisi agricola e della mancata riforma agraria. Infatti, se è vero che Giolitti era riuscito ad introdurre elementi di legislazione sociale come la contrattazione lavorativa e la tutela contro gli infortuni, al sud non era riuscito a scardinare il latifondo ed aveva dovuto cedere alle resistenze dei notabili locali, dai quali aveva ricevuto un irrinunciabile contributo parlamentare.
Da un meridionalista come Salvemini verrà soprannominato per questo motivo il ministro della malavita.
Peraltro, con la statizzazione delle ferrovie, Giolitti pose sotto controllo governativo la rete ferroviaria che ebbe, negli anni del suo governo, una notevole espansione soprattutto al sud, come si vede nella figura 2.
Diversa risposta darà di lì a pochi anni alla cronica fame di terra dei contadini meridionali, decidendo a malincuore l’offensiva italiana in Libia, spinto soprattutto dalle pressioni di nazionalisti, ambienti cattolici e banche d’affari.

LA POLITICA ESTERA E LA SPEDIZIONE IN LIBIA

Durante l’età giolittiana l’Italia rinnovò più volte il patto d’alleanza stipulato nel 1882 con Austria e Germania (la Triplice Alleanza). Giolitti in particolare era legato alla Germania, le cui banche garantivano gli investimenti industriali italiani, ma durante il suo governo realizzò anche un graduale riavvicinamento alla Francia, con cui i rapporti erano tesi fin dai tempi della guerra doganale e dell’occupazione francese della Tunisia. Il frutto del riavvicinamento fu l’appoggio francese al piano di occupazione italiana della Libia.
Questa apparteneva al fatiscente impero ottomano, ma era rivendicata dalla propaganda nazionalista italiana in quanto antica terra di dominazione romana. Come tale era considerata la quarta sponda mediterranea del nostro paese, mentre i libici erano visti, secondo i diffusi pregiudizi razzisti dell’epoca, come una popolazione arretrata in attesa di un liberatore e colonizzatore.
La guerra fu cruenta e gli italiani vi fecero largo uso di armi vietate e dei primi aeroplani da combattimento, macchiandosi di stragi ed eccidi. Solo una parte del partito socialista si oppose alla missione e tra questi il solito Salvemini, che denunciava dalle colonne del suo settimanale L’Unità l’inganno della propaganda.
Altri socialisti (Bissolati e Bonomi) approvarono la spedizione, favorendo così l’ala massimalista del partito che riconquistò la maggioranza al congresso di Reggio Emilia del 1912. In questa occasione venne approvata la mozione Mussolini che ne chiedeva l’espulsione e al futuro duce fascista venne affidata la direzione del giornale di partito, L’Avanti.
Scarsi furono i risultati della missione, che contribuì invece ad incendiare ulteriormente la polveriera dei nazionalismi. Dopo il tracollo libico infatti l’impero ottomano indebolito subirà l’aggressione di altre nazioni che tenteranno di ottenere l’indipendenza combattendo le guerre balcaniche del 1912-1913, vero preludio allo scoppio del primo conflitto mondiale.

LA RIFORMA ELETTORALE E L’APERTURA AI CATTOLICI

In vista delle elezioni politiche del 1913 Giovanni Giolitti, e con lui la composita maggioranza che lo sosteneva, propose al Parlamento l’ampliamento della platea degli elettori, affinchè essa fosse più rispondente alle mutate condizioni sociali. In quegli anni ormai si andava affermando quella che gli storici avrebbero chiamato la società di massa, le cui componenti più corpose si riconoscevano nelle posizioni dei socialisti e dei cattolici.
Giolitti era convinto che non andasse disperso questo patrimonio, ed era convinto di poterlo convogliare nelle fila della sua maggioranza liberale.
Per questo fece approvare la riforma che introduceva il suffragio universale maschile (unico limite era il compimento dei 30 anni e l’assoluzione degli obblighi di leva) nel 1912 e in vista delle vicine elezioni strinse un patto segreto con il conte Gentiloni, secondo il quale gli elettori cattolici avrebbero sostenuto i candidati liberali in cambio della sottoscrizione di un programma di riforme favorevole ai cattolici (che prevedeva l’opposizione alle proposte di legge dei movimenti anticlericali, il sostegno all’insegnamento privato, l’opposizione al divorzio, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche).

EPILOGO DELL’ETA’ GIOLITTIANA

Con le elezioni del 1913, in cui votarono oltre 5 milioni di italiani sui quasi 10 aventi diritto, il nuovo parlamento confermò la maggioranza allo schieramento liberale, che però risultava molto eterogeneo, a causa dei non semplici rapporti tra liberali e cattolici. Giolitti pensò ancora una volta di dimettersi, convinto di ottenere dopo poco un nuovo incarico, ma stavolta (marzo 1914) il re scelse di affidare l’incarico di formare il nuovo governo al liberale conservatore Antonio Salandra. Pochi mesi dopo le tensioni sociali esplosero nella settimana rossa.
Poi gli spari di Sarajevo mutarono per tutti lo scenario politico.

Durante il primo decennio del Novecento la società italiana andò gradualmente trasformandosi in una moderna società di massa. Convivevano e si contrapponevano in questa fase civiltà urbana e civiltà contadina, ma il paese era ancora prevalentemente agricolo e la stratificazione sociale non offriva grandi possibilità di ascesa sociale ai ceti meno abbienti.
La scuola venne riformata e l’insegnamento elementare garantito dallo stato con la legge Daneo-Credaro (1911); tuttavia erano analfabeti ancora il 38% degli abitanti.
Nel sud dominava ancora la famiglia patriarcale, mentre al Nord la diffusione del lavoro industriale incise profondamente sul tessuto famigliare.
La famiglia inoltre veniva a perdere la tradizionale unità per via delle migrazioni, che però continuavano a garantirle il mantenimento della funzione di ammortizzatore sociale, insieme alle nascenti organizzazioni sindacali e mutualistiche.
L’Italia giolittiana, l’italietta dei nazionalisti, pur rimanendo ancora in bilico tra tradizione e trasformazione, vide tuttavia un complessivo e diffuso miglioramento delle condizioni di vita in tutti gli strati sociali.